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RECENSIONE SPETTACOLO "L'AVARO"- INTERVISTA ALL'ATTORE BENVENUTI

17.02.2017

Mercoledì 15 febbraio Sold Out al Teatro L. Rossi di Torremaggiore per “L’Avaro” di Molière interpretato da Alessandro Benvenuti, con adattamento e regia di U. Chiti.


L’attore prima di vestire i panni di Arpagone ha incontrato gli studenti dell’ISIS Fiani-Leccisotti per rispondere con grande simpatia, intelligenza e generosità alle loro domande. 


Per la prima volta a Torremaggiore gli studenti hanno avuto la possibilità di partecipare ad un incontro con l’attore, iniziativa fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale in ottemperanza alle direttive ministeriali contenute nelle “Indicazioni strategiche per l’utilizzo didattico delle attività teatrali”, legge 13 luglio 2015, n. 107, che hanno definito l’attività teatrale parte integrante dell’offerta formativa.


Ad 8 anni guardando i film di Stanlio e Ollio e riproponendo alcune scene comiche ai piccoli compagni di scuola durante la merenda ha scoperto il divertimento di immedesimarsi in qualcun altro e la sua capacità di far ridere. A 14 anni nella parrocchia di Pontassieve (FI) ha avuto il suo “pre-debutto” in una farsa toscana impersonando la figura di comica di un nonno. Fu un successo ricorda con un sorriso l’artista, lì gli predissero che sarebbe diventato un grande attore, e così è stato. Il suo debutto da comico in televisione è avvenuto nella Rai con il programma Non Stop, “un programma rivoluzionario” egli afferma “perché senza presentatori; erano i comici a tenere il programma”.


Lui si definisce un autodidatta e un “fortunato”, ovvero uno di quelli che si sono trovati nel posto giusto al momento giusto, ma sapeva qual era la sua strada e che doveva sperimentarsi, per questo senza mai avere, o cercare, un piano B nei momenti di crisi della sua carriera di attore, con impegno, sacrifici e un po’ di fortuna mista a un grande talento, ha saputo risollevarsi e arrivare al suo grande successo con “Benvenuti in casa Gori”. Da quel momento la sua strada è andata in salita.


Da autodidatta che è stato certo ritiene che studiare nelle Accademie ufficiali sia molto importante, perché “la solita fortuna non si ripete due volte, ma bisogna poi superare la tecnica per non farsi schiavizzare da essa; qualcun altro può accenderti la scintilla, ma poi tutto dipende dal fuoco che hai dentro”.


Alla domanda rivolta da uno studente “preferisci il cinema o il teatro?” egli risponde che si tratta di due linguaggi diversi, entrambi belli: nel cinema bisogna essere veri, basta la naturalezza perché lì parlano gli occhi; nel teatro gli occhi difficilmente si vedono quindi bisogna essere veramente finti e la tecnica deve essere impeccabile, ma il teatro è fantastico perché “pur avendo un linguaggio molto antico porta sempre innovazione, porta VITA”.


VITA è la parola chiave di questa piacevole e informale, a tratti familiare, conversazione con Alessandro Benvenuti nella cui vita la cosa più importante è la famiglia. Egli non nasconde il grande amore per sua moglie Chiara e le sue figlie, e non nasconde la salvezza che gli dà il suo lavoro da attore, importante per conoscere meglio sé stesso, perché, come tutti sappiamo, la nostra psiche è dotata di infinite sfaccettature che neanche conosciamo e soltanto facendo finta di essere qualcun altro, di volta in volta, possiamo vivere e far uscire un lato nascosto di noi stessi. 


Sorridente e pieno di vita l’attore conclude confidandoci che “la vita è una sola e non esiste un piano B. Il piano B è un fallimento, significa rinunciare, arrendersi. A me non è mai venuto in mente di mollare; io dico sempre alle mie figlie: volate alto ché tanto a scendere siete sempre in tempo”.


 


L’intervista con Benvenuti ha suscitato negli studenti aspettative ancora più alte per la sua prova attoriale in “L’Avaro” e certamente non sono rimasti delusi. L’attore ha saputo confermare ciò che egli stesso aveva affermato: “la comicità è una scienza esatta, bisogna seguire il ritmo, tenere il tempo giusto. È più facile far piangere che far ridere; per far ridere bisogna essere rock star, bisogna seguire il ritmo giusto. La magia del ridere scatta quando tu non te l’aspetti. A me tanti fanno ridere: tutti quelli che hanno la capacità di fregarti, se invece scatta la riflessione la risata sfuma”.


Nel personaggio di Arpagone afferma di esserci entrato pian piano, un Arpagone con il raffreddore, usuraio, investitore, innamorato del denaro più che dei suoi figli. È stato un lavoro complesso di rifiniture, accumuli e sottrazioni che lo hanno portato oggi ad essere soddisfatto della sua interpretazione, che possiamo ben dire, da vera “rock star”. Ma la splendida riuscita dello spettacolo è stata anche merito degli altri otto interpreti, del regista, del suo riadattamento dell’opera seicentesca nel rispetto del plautino perfetto gioco degli equivoci, nel rispetto della caratterizzazione dei personaggi tipica della Commedia dell’Arte, nonché di Plauto; e quel QUID in più è dato dal gusto nuovo, moderno, creato con elementi e battute metateatrali. Il finale è stato un grande pezzo di bravura: disteso a terra per la pesantezza delle sue monete Arpagone era solo e felice con il suo amato denaro ritrovato.


M.C. _SCN_



 

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