RAIMONDO DE SANGRO
Principe di San Severo, Duca di Torremaggiore (1710-1771), fu uno dei personaggi più complessi, discussi e controversi della storia napoletana del XVIII secolo. Intorno alla sua figura ruotano molti miti e leggende, che evocano misteri e segreti impregnanti la sua attività di scienziato, chimico, alchimista, militare e mecenate, noto soprattutto per le sue invenzioni, quali le macchine belliche e le macabre macchine anatomiche (v.), ben più che per le sue eccezionali doti umane e sociali, per lo più ignorate dai biografi superficiali che se ne sono interessati. Rampollo di una illustre casata di antica discendenza carolingia, legata alla casa di Borgogna (di cui condivideva il blasone nobiliare), titolare nel regno di Napoli di oltre 600 feudi, fu avviato alla carriera militare, ove raggiunse presto il grado di maresciallo del Regio Esercito napoletano. Ancor giovane ufficiale, scrisse un’Enciclopedia universale sull’arte della guerra ed un approfondito Trattato sui sistemi di fortificazione, arrivando a realizzare alcune apprezzate invenzioni, come la Carrozza anfibia. Nel 1735 venne iniziato alla Massoneria presso la Loggia La perfetta Unione, cui aderì con entusiasmo, incurante della recente scomunica papale. L’eccezionale carisma di cui era dotato lo portò presto ad assumervi la carica di Maestro Venerabile, attivandosi per l’adozione degli alti gradi templari detti "di Vendetta", nell’ambito del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Dopo l’elevazione alla carica di Gran Maestro, dava poi alle Logge napoletane una prima completa stesura della Costituzione Massonica, sfruttando una sua attivissima tipografia. Per natura era spoglio di ogni falsa deferenza nei confronti dei potenti, sia verso il suo Re Carlo III che al cospetto di papa Clemente XII e dei suoi biechi servi napoletani (il card. Spinelli ed il mons. Francesco Maria Pepe). Eccezionale (ed incompreso) protettore dei fratelli massoni, non esitò ad adottare ogni misura valida a consentire il prosieguo dell’attività delle Logge, a dispetto degli innumerevoli tentativi persecutori attuati direttamente ed indirettamente dalla Chiesa. Attraverso la sua tipografia, creò ripetute occasioni per scagliarsi contro certi atteggiamenti della corte pontificia: · con i "quipu" incaici aveva prodotto un’opera apologetica sulla scrittura con le cordicelle policrome annodate, un sistema di scrittura sofisticato che il R. (noto come o’ Principe) aveva tradotto anche in chiave alchemica, ma che la miopia della Chiesa aveva definito "merce del demonio", rendendosi artefice della totale distruzione di immensi patrimoni culturali compresi in intere ricche biblioteche; · con la pubblicazione dell’opera già all’indice "Il Conte di Gabalis, ovvero ragionamento sulle scienze segrete", diffondeva le antiche tesi rosacrociane; · grande scalpore suscitava però un suo trattato, diffuso nel 1746, dal titolo "Relazione della Compagnia dé Liberi Muratori", edito quale opera di divulgazione della Massoneria, di richiamo ai suoi principi universali, non asserviti ad alcun potere spirituale o temporale, in aspra polemica con il feroce dogmatismo della Santa Romana Chiesa. R. auspicava la divulgazione di una Massoneria universale cosmopolita fortemente esoterica, il che scontentava sia i massoni intrallazzati con il potere politico e religioso, sia il sovrano turbato dalle voci di cospirazione fomentate all’interno delle Logge, sia il papa per la presenza tra i massoni di alti prelati come il vescovo di Avellino, Benedetto Latilla, Grande Oratore dello stesso Gran Maestro. Il 17 giugno del 1751, nel turbamento creatosi per il mancato miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, R. viene convocato dal re Carlo III, pressato dal papa Benedetto XV, che pretende ed ottiene rassicurazioni sui pacifici intendimenti della Massoneria, e lo convince a tranquillizzare anche la Curia Romana attraverso una lunga e dotta epistola, redatta in forbito latino ed il italiano volgare. Essa si rivelò un atto di grande umiltà e di profondo rispetto, mai di sudditanza nei confronti della Chiesa, un’esaltazione dei valori etico morali della Libera Muratoria di ispirazione templare, respingendo e disconoscendo certe derivazioni controllate da avventurieri e sobillatori. Quando R. fu costretto a consegnare al re un elenco di affiliati, con personaggi ambigui, ininfluenti e comunque ben poco massoni (che comunque uscirono assolutamente indenni dalle intricate maglie di ben quattro diverse commissioni d’inchiesta, istituite per i nobili, per i militari, per i religiosi e per i membri della borghesia, grazie all’amicizia tra R. ed il re), molte frange massoniche accusarono aspramente R. di alto tradimento. Il Principe R. fu bersagliato da più parti dalle accuse più infamanti, come stregoneria e necromanzia (le macchine anatomiche), che non si lasciò distogliere dal suo intento di dedicarsi per intero all’Arte Reale, realizzando il "Lume Eterno". Negli ultimi anni di vita R. fondò una Loggia degli Eletti, dalle caratteristiche esclusive, non per casta o censo, ma per le doti richieste a chi voleva farne parte. Si trattava di qualità umane e culturali richieste dal livello dei Lavori svolti nel suo Tempio, incentrati sull’ermetismo, sulla cabala, sull’alchimia e sulle conoscenze templari, aspetti esoterici che, criptati e simboleggiati, avrebbe riversato a piene mani nelle grandiose opere d’arte del suo Tempio della Pietà, o Pietatella (v.).
 

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